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La fusione del permafrost rischia di liberare antiche malattie?

Quello è permafrost. O almeno, lo era. E ciò è male.

La foto è stata scattata in Alaska e mostra una frana avvenuta lungo la scogliera che segna il confine settentrionale del continente nordamericano. Sotto a un sottile strato di torba scura, ricca di nutrienti e coperta di erba, vediamo una serie di strati grigi spessi svariati metri. Ecco, quello è ghiaccio d’acqua, e quegli strati sono il permafrost. La scogliera si sta squagliando sotto l’azione del moto ondoso e dell’aumento delle temperature nell’artico. Le regioni polari sono infatti quelle che per loro natura stanno subendo il riscaldamento più drammatico; le anomalie spesso sono superiori ai +10°C rispetto alle medie stagionali. E questa rapida fusione potrebbe avere conseguenze inaspettate, come la liberazione di antiche malattie.

Un mondo congelato

Il permafrost è uno strato sotterraneo di terreno che rimane congelato tutto l’anno. Il calore superficiale dell’estate non riesce a penetrare abbastanza in profondità, e rimane così una riserva di “freddo” tra un inverno e l’altro. Il limite superiore dello strato di permafrost è dove le variazioni stagionali riescono, per qualche giorno almeno, a fondere il ghiaccio. Il limite inferiore è invece la profondità alla quale il calore interno del pianeta mantiene le temperature sopra lo zero.

Sul nostro pianeta c’è tantissimo permafrost: oltre il 15% dell’emisfero Nord è coperto da permafrost continuo, concentrato in Canada/Alaska e Siberia. Il valore sale al 25% se si considera quello discontinuo e sporadico. E il problema è che si sta fondendo. Sono oltre 23 milioni di km2.

Distribuzione globale del permafrost. È presente anche sul fondo dell’oceano Artico (in verdazzurro), essendosi formato durante l’era glaciale per poi essere successivamente sommerso dall’innalzamento dei mari.

Questa fusione ci causerà due problemi enormi. Il permafrost infatti contiene una quantità immensa e difficile da stimare di carbonio organico (qualcosa intorno alle 1700 miliardi di tonnellate), sotto forma di piante e animali morti e mai decomposti. È un po’ come un frigorifero, e avete ben presente quando salta la corrente cosa succede al contenuto del vostro freezer. Se il permafrost si fondesse tutto rilascerebbe in atmosfera 50 volte i gas serra che l’umanità produce in un anno. Stimare quanto rapidamente ciò avverrà in futuro è fondamentale per comprendere come evolverà la situazione climatica del nostro pianeta.

Malattie in agguato

Ma non è finita qui, perché i gas serra rilasciati dalla fusione del permafrost non saranno l’unico dei nostri problemi. Il permafrost è infatti un’ottima capsula del tempo: alcune regioni del nostro pianeta sono congelate da centinaia di migliaia di anni, come per esempio le ampie distese della Beringia, ora sommersa dall’Oceano Artico. In questi depositi antichi non sono preservati solo i resti di piante e animali dell’epoca, ma anche i virus e i batteri che convivevano con loro. Malattie dimenticate di specie ormai estinte. Ma anche qualcosa di più moderno

Nel 2016 la Russia ha dovuto affrontare una piccola epidemia di antrace nella remota penisola Jamal, in Siberia. Il focolaio ha causato il ricovero di dozzine di persone e il decesso di un bambino, per una malattia che si trasmette principalmente dagli erbivori all’uomo. E infatti il batterio aveva infettato almeno 2000 renne. L’origine del focolaio è stata individuata proprio in una carcassa di renna, morta 75 anni fa di antrace e rimasta congelata nel permafrost da allora. Finché non si è scongelata durante un’ondata di calore estivo anomalo, resuscitando le resistenti spore dell’antrace.

Come se non bastasse, sono millenni che le popolazioni locali seppelliscono nel permafrost i propri defunti, solitamente non molto in profondità a causa della durezza del terreno. In alcune sepolture in Alaska è stato individuato (dormiente) il virus della pandemia di influenza del 1918, la cosiddetta spagnola. Quasi sicuramente questo vale anche per malattie un tempo endemiche, come la peste bubbonica o il vaiolo.

Se il permafrost si scongelasse, allora questi patogeni potrebbero tornare attivi, e chiaramente le conseguenze di un tale eventualità sono pressoché impossibili da stimare. Non sappiamo se i patogeni antichi saranno compatibili con le forme di vita moderne, trovando un terreno favorevole per riprendere la loro azione deleteria. Dopotutto molte delle malattie che colpiscono l’uomo hanno fatto “il salto” da un’altra specie animale, per insediarsi nella nostra, le cosiddette zoonosi.

Come se non bastasse, il permafrost potrebbe contenere negli strati più superficiali molte sostanze chimiche oggi bandite ma in passato usate molto profusamente, come il DDT, e che tornerebbero in circolazione a fusione avvenuta.

A oggi è difficilissimo stimare quanto rapidamente si fonderà il permafrost, e quanto il pericolo batteriologico sia sensato, però è bene essere consapevoli che stiamo giocando con il fuoco.

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