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Benvenuti nell’Antropocene

L’impronta della civiltà umana sul nostro pianeta è indubbiamente sempre più pesante. La Terra sta andando incontro a cambiamenti sempre più rapidi, tanto che si è cominciato a parlare della necessità di una nuova era geologica.

Il suo nome sarebbe “Antropocene”, dal greco antico anthropos (ἄνθρωπος), uomo, e kainos (καινός), nuovo o recente, e non è un concetto nuovo. Il primo a proporre questa idea fu Antonio Stoppani, un geologo italiano che nel 1873 fece uso del termine “Antropozoico” per definire l’era moderna e le profonde modifiche che già allora aveva impresso al mondo. Il termine moderno, antropocene appunto, ha due padri: Eugene Stoermer e Paul Crutzen, che hanno inventato indipendentemente la parola. Questa ha fatto presa sulla comunità scientifica e soprattutto sull’immaginario comune, e ha cominciato a comparire sempre più spesso persino negli articoli scientifici ufficiali, senza virgolette.

Definire una nuova epoca geologica però non è così semplice: serve un lungo periodo di valutazione, in cui si individua un chiaro discriminante che ponga inizio al nuovo periodo. I geologi parlano di un “golden spike” nei sedimenti (GSSP in gergo). Per fare un esempio, eccovi il confine tra l’era moderna, il cenozoico, con quella dei dinosauri, il mesozoico.

Limite K-PG fotografato in Nord America. Foto di Phil Plait
Vedete quello straterello bianco? Ceneri di dinosauri e di asteroide! Fonte

Questo confine viene chiamato limite K-Pg, e segna inequivocabilmente ovunque nel mondo il momento in cui si sono estinti i dinosauri. Sotto di esso, negli strati più antichi, è pieno di fossili di dinosauri, mentre sopra non se ne trova manco l’ombra. È anche molto ricco di elementi siderali (come l’iridio), rarissimi sulla Terra ma abbondanti negli asteroidi, cosa che ha portato a dedurre che l’estinzione dei nostri rettili preferiti sia avvenuta in concomitanza con l’impatto di un grande corpo celeste. Porre sullo stesso piano l’avvento della civiltà umana e l’impatto catastrofico di un asteroide fa impressione, eppure i segni della nostra presenza sono ormai così tanti che c’è persino l’imbarazzo della scelta su dove far cominciare l’antropocene.

L’avvento dell’agricoltura

Circa 10.000 anni fa l’uomo addomesticò alcune graminacee, e in millenni di selezione e incroci più o meno fortuiti ha creato da esse il grano, il farro, la segale, e ogni altro cereale vi venga in mente. Lo sfruttamento agricolo del territorio ha reso necessario il disboscamento di aree immense, e negli strati sedimentari i pollini di questi cereali hanno preso il posto di quelli degli alberi. L’irrigazione invece ha alterato le portate dei fiumi, così come l’acqua trasporta sali e sedimenti. Più di recente, è stato l’uso massiccio dei pesticidi e soprattutto dei fertilizzanti a lasciare un’impronta globale.

Un classico fertilizzante granulare
Un tipico fertilizzante granulare

Nei sedimenti di tutto il mondo c’è infatti un sottilissimo strato eterno di DDT, prodotto tra il 1945 e il 1972, e solo oggi la biosfera si sta riprendendo dagli spaventosi effetti collaterali generati dall’uso di quel pesticida. Le conseguenze dei fertilizzanti sono invece ancora più profonde: l’immissione massiccia nell’ambiente di composti a base di azoto, fosforo e potassio ha stravolto i cicli globali di questi elementi. Il ciclo dell’azoto in particolare ha subito la più grande variazione degli ultimi 2,5 miliardi di anni, e questo sarà visibile negli strati sedimentari per milioni di anni.

La globalizzazione dell’ecosistema

Un altro sintomo globale delle attività umane è la riduzione della biodiversità degli ecosistemi e il loro appiattimento. Ovunque gli esploratori occidentali andassero, portavano con sé piante e animali tipici del Vecchio Continente, e riportavano in patria quello che scoprivano oltreoceano. Alcuni esempi su tutti sono l’introduzione della patata e del pomodoro in Eurasia, o del cavallo e del grano nelle Americhe. L’Ailanto è un albero che è stato introdotto in Europa per la coltivazione dei bachi da seta… ed è sfuggito totalmente al nostro controllo. È un rapido e potente infestante, che sta sostituendo molte delle specie arboree autoctone grazie alla sua resistenza e capacità di riproduzione.

I gatti sono una delle specie più invasive a noi note, dopo l'uomo
Adorabile, vero? I nostri piccoli killer sono molto, molto efficienti. E soprattutto il gatto domestico è una specie tremendamente invasiva. Solo l’uomo ha sulla coscienza l’estinzione di più specie animali.

In Australia i rospi e i gatti sono una piaga, che sta infliggendo un colpo durissimo alle popolazioni di marsupiali e monotremi locali. È come se i continenti fossero di nuovo riuniti in una Pangea, collegati tra di loro tramite i commerci e i trasporti umani, invece che da ponti di terra. Anche questo verrà registrato negli strati geologici: un paleontologo del futuro noterà che dai biomi tipici di ogni continente si passa improvvisamente a un unico bioma globale a bassa biodiversità. I polli diventeranno probabilmente un fossile chiarissimo che indica questo processo: sono diffusi in tutto il mondo, e i loro scheletri si accumulano a miliardi nelle nostre discariche o ai lati delle strade, in gigantesche fosse comuni.

Tale globalizzazione dell’ecosistema sta causando l’estinzione delle specie più locali e specializzate, mentre la riduzione degli ecosistemi “selvaggi”, come le praterie, le foreste pluviali o l’artico, aggrava ulteriormente i tassi di estinzione. Era dal famoso limite K-Pg che questi non erano così alti, tanto che si è arrivati a sostenere che ci troviamo nel corso della sesta grande estinzione di massa, quella antropocenica.

La rivoluzione industriale

L’invenzione nel 1781 del motore a vapore da parte di James Watt iniziò una vera e propria rivoluzione: industriale, culturale, energetica, militare. È da allora che la civiltà globale si regge principalmente sull’energia prodotta bruciando il carbone e gli idrocarburi fossili formatisi nelle ere geologiche passate del pianeta.

La Battersea Power Station durante la sua attività, negli anni '50
Battersea Power Station, anni ’50

E anche questo sarà chiaro come il Sole per i geologi del futuro. Perché dal 1800 in poi fanno la loro comparsa negli strati di tutto il mondo minute particelle di fuliggine, generate dal carbone e dal petrolio incombusto. Anche se il mondo occidentale ora produce energia con grande efficienza emettendo poca fuliggine, ciò non vale per i paesi la cui economia è ancora in rapida crescita, fortemente legati al carbone e alla biomassa (o peggio, alla torba). Altre presenze “aliene” nella stratigrafia mondiale sono il piombo, estratto e bruciato a milioni di tonnellate per 50 anni nella benzina al piombo (ora bandita in quasi tutto il mondo); l’alluminio, che in natura non si trova mai allo stato elementale ma solo come ossido; il mercurio, che si accumula negli esseri viventi e risale la catena alimentare fino al vostro piatto; i metalli pesanti di ogni genere e tipo, eccetera.

Tutta roba che in natura è ben legata in minerali e rocce e non sta in giro a far danni, e che a causa delle attività industriali possiamo ritrovare nei sedimenti di tutto il mondo. Persino il cemento: ne produciamo miliardi di tonnellate ogni anno, tanto che è una delle principali cause di emissione di gas serra. La polvere di cemento è davvero ovunque! E questo senza contare la produzione di macerie, o i nostri edifici stessi che presto o tardi finiranno anch’essi per far parte degli strati geologici del pianeta.

Il riscaldamento globale antropogenico

Come accennato, noi umani abbiamo bruciato TANTO carbone e petrolio. Dove per “tanto” intendo che siamo riusciti, da soli, ad aumentare del 50% la concentrazione atmosferica di uno dei principali gas serra, la CO2, portandola dalle 280 ppm (parti per milione in volume) preindustriali alle oltre 420 ppm del 2022. Non andrò nei dettagli, visto che ne abbiamo parlato diffusamente in molti altri articoli dedicati, ma il riscaldamento globale è qui per restare.

Previsioni di riscaldamento globale fino al 2100 in base a diversi scenari sul futuro delle emissioni globali, dal più pessimistico al più ottimistico.
Previsioni di riscaldamento globale fino al 2100 in base a diversi scenari sul futuro delle emissioni globali, dal più pessimistico al più ottimistico.

Ed è proprio usando cambiamenti repentini nel clima del pianeta che sono stati definiti molti dei periodi geologici della cronostratigrafia moderna, come quello in cui ci troviamo ora: l’Olocene (da holos (ὅλος) del tutto e kainos (καινός), nuovo), iniziato 11.700 anni fa con il completamento del ritiro dei ghiacci dell’ultimo periodo glaciale. Il grafico riportato qui sopra mostra le predizioni future della temperatura globale in base a vari modelli climatici e a diversi scenari di andamento delle emissioni globali di gas serra, e mostra una forbice che va dai +5 °C ai +2 °C globali. In appena duecento anni. È un tasso di cambiamento climatico inedito per il pianeta, non si è mai vista una cosa del genere.

Carotaggio dei sedimenti di un lago in Groenlandia, che mostra la rapida transizione dai sedimenti glaciali a quelli organici
Carotaggio dei sedimenti di un lago in Groenlandia, che mostra la rapida transizione dai sedimenti glaciali a quelli organici

Il periodo caratterizzato dal riscaldamento globale naturale più rapido a noi noto è il PETM (Palecene-Eocene Thermal Maximum), durante il quale la temperatura della Terra è aumentata molto rapidamente: 8 °C in 20.000 anni. Ecco, questo è un ritmo 30 volte più lento di quello che stiamo osservando oggi. Il cambiamento in corso è così marcato che rimarrà profondamente inciso e registrato dagli strati geologici: la cosa è già cominciata, specialmente alle latitudini polari, dove di colpo i sedimenti glaciali vengono sostituiti dai sedimenti organici prodotti da alghe, muschi, tundra e taiga. Le torbiere si prosciugano, il permafrost scompare, l’erosione delle coste impenna, enormi quantità di metano si riversano in atmosfera e tutto ciò rimane registrato nel libro delle rocce sedimentarie globali.

Un mare di plastica

Una menzione speciale la voglio dedicare alla plastica. La plastica è la sostanza più versatile mai concepita, e ne produciamo 335 milioni di tonnellate ogni anno.

L'invasione delle microplastiche sta alternado profondamente gli ecosistemi marini
Una barriera corallina o uno sciame di plastica colorata?

È duttile, duratura, asettica, quasi indistruttibile. È proprio perché gli organismi decompositori non sanno come attaccarla che la plastica ha tanto successo: non sarebbe una gran cosa se la vostra bottiglietta, o il vostro zaino, cominciassero a marcire se in contatto col terreno o l’umidità. Noi non ne possiamo fare a meno, la natura invece non sa che farsene. E quindi la plastica gettata via si accumula nelle discariche del mondo (quando va bene) o negli oceani (quando va male). I raggi UV del Sole la degradano e frammentano, producendo ziliardi di micropezzetti di plastica chiamati “microplastiche”. Sono ovunque, specialmente nella catena alimentare, e un medico non si stupirebbe di trovarvele in corpo.

Soprattutto, sono nei sedimenti oceanici. Le microplastiche che affondano vengono seppellite dai normali sedimenti marini, e lì rimangono. Per sempre, come il petrolio da cui le abbiamo generate. Potranno passare miliardi di anni, ma sarà sempre possibile trovare da qualche parte del pianeta uno strato sedimentario che contiene al suo interno della plastica o i derivati della sua degradazione. Negli ultimi tempi sta aumentando la conoscenza del problema della plastica oceanica, e si fa sempre meno uso di plastica usa-e-getta. Tuttavia quella che è già là fuori è destinata a rimanerci, ed è impossibile ripulire l’intero globo terracqueo.

Le stelle artificiali

Il marcatore più importante dell’era dell’uomo, e che probabilmente finirà per essere scelto ufficialmente per tale compito, è però l’inizio dell’era nucleare.

16 luglio 1945, il test Trinity inaugura l'era dell'atomica
16 luglio 1945: Trinity Test

Il 16 luglio 1945, nel deserto dell’Arizona, l’uomo ha acceso per la prima volta un piccolo Sole in Terra. Da allora sono stati compiuti più di 2000 test nucleari, sfruttando sia la fissione che la fusione nucleare. Questi test hanno depositato in tutto il mondo un sottile strato di elementi radioattivi, che lì sono destinati a rimanere virtualmente per sempre. Ognuno di noi ha probabilmente in corpo qualche atomo di americio, curio, plutonio e berkelio prodotti nei test nucleari avvenuti in Novaja Zemilja o nell’atollo di Bikini.

Molti di questi elementi radioattivi hanno vite geologicamente brevi, ma anche una volta decaduti rimangono i loro prodotti. Questi strati geologici quindi, oltre alle plastiche, saranno anche leggermente più radioattivi e dalla composizione più anomala di tutto quello che è venuto prima. Il confine che separa l’era preatomica da quella moderna è talmente netto da essere a tutti gli effetti il nostro limite K-Pg, il nostro asteroide.

La Grande Accelerazione

In ultimo, la cosiddetta Grande Accelerazione del 1950. Se si guardano i principali indicatori economici, sociali e ambientali della nostra civiltà si nota un netto cambio di andamento dal 1950 in poi. È il grande boom industriale, il secondo dopoguerra, la crescita economica senza freni e limiti, il baby boom. Un’epoca che ora in retrospettiva sembra quasi d’oro, in cui tutto era nuovo, bello, entusiasmante e perfetto, il picco del neopositivismo moderno.

Vari grafici che mostrano l'imponente accelerazione del nostro impatto sul pianeta, e le sue conseguenze
Il punto di inizio della Grande Accelerazione attorno al 1950 è decisamente apparente in questi grafici

Oggi facciamo i conti con la realtà generata da quel boom, con i cambiamenti messi in moto dall’improvvisa espansione della civiltà umana. Questa sembra essere una definizione piuttosto economica di “antropocene”, che ai geologi potrebbe interessare poco, ma gli effetti sul pianeta sono destinati ad essere duraturi. Tutte le voci analizzate in precedenza possono essere fatte ricadere entro la Grande Accelerazione, tanto che qualche idealista ha proposto non di chiamarlo antropocene, ma “capitalocene”, l’epoca del capitalismo.

E quindi, siamo nell’antropocene o no?

Ufficialmente, non esiste ancora un periodo geologico chiamato “antropocene”, ma il termine compare sempre più spesso nel lessico e nella letteratura scientifica. Nel 2011 la Royal Society ha pubblicato un volume sull’antropocene, seguita nel 2014 dalla London Geological Society. In quell’anno la parola è persino entrata nell’Oxford Dictionary. Nel frattempo un gruppo di ricerca dedicato (AWG, Anthropocene Working Group), formatosi nel 2009 e riconosciuto dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia (ICS in inglese), ha continuato a lavorare al problema.

Dopo 7 anni di lavoro, nel 2016, il gruppo ha presentato i propri risultati, raccomandando alla ICS la creazione di questa nuova unità geologica, e nel 2019 ha votato in favore della realizzazione di una proposta ufficiale, da presentarsi nel 2021 e su cui la ICS deve ancora esprimersi. La data di inizio sarebbe intorno agli anni ’50, e il gruppo ha stilato una lista di dieci GSSP candidati, uno dei quali diventerà lo strato definente l’inizio dell’antropocene. Il processo non è quindi ancora concluso, ma lo sarà presto.

Contro la definizione di questa nuova epoca gioca la sua natura stessa: come evidenziato da questo articolo sono molti (troppi) gli eventi distinti che possono essere usati per demarcarla, mentre in geologia serve una transizione univoca e globale, e l’intero “antropocene” potrebbe essere solo un rapido transiente nella lunga storia della Terra. In pratica, se scomparissimo in breve tempo si tornerebbe a una situazione olocenica “standard”, come se il nostro passaggio non fosse altro che una breve parentesi. Un cataclisma passeggero, da cui il pianeta sarebbe in grado di riprendersi piuttosto in fretta.

Comunque sia, l’intento di questa proposta alla fine è principalmente comunicativo: stiamo facendo tanto per alterare il nostro pianeta, al punto che le nostre tracce saranno visibili per milioni di anni. Uno spunto per riflettere e agire sull’impatto che abbiamo sulla Terra.

Benvenuti nell’Era dell’Uomo.

Fonti:

  1. http://science.sciencemag.org/content/351/6269/aad2622
  2. https://www.carbonbrief.org/anthropocene-journey-to-new-geological-epoch
  3. https://www.nationalgeographic.com/magazine/2011/03/age-of-man/
  4. https://www.theguardian.com/environment/2016/aug/29/declare-anthropocene-epoch-experts-urge-geological-congress-human-impact-earth
  5. https://www.npr.org/sections/13.7/2016/10/01/495437158/climate-change-and-the-astrobiology-of-the-anthropocene
  6. https://en.wikipedia.org/wiki/Anthropocene
  7. https://www.popmatters.com/against-the-anthropocene-visual-culture-and-environment-today-tj-demos-2495380937.html
  8. http://www.anthropocene.info/index.php
[L’articolo è stato aggiornato per chiarificare la posizione attuale della ICS]

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3 commenti

  1. In realtà no. Prima di tutto le commissioni non vengono ” nominate ” dalla Commissione internazionale” ma questa prende atto della esistenza, su base volontaria, della esistenza di un gruppo di studio. Nel 2016 la proposta è stata BOCCIATA o se preferite non accettata in quanto mancante delle caratteristiche richieste. Che venga approvata in futuro è altamente improbabile. La mia opinione è basata sul fatto che sono stato l’autore dello stratotipo del limite Oligocene Miocene. Ora ufficializzato nel 1992. Quindi, avendo lavorato per e con la Commissione Internazionale ne conosco i rigidi criteri. Inoltre anche se è un termine che piace ai media è scorretto l’uso e dimostra la scarsa preparazione sull’argomento stratigrafia di chi lo usa.

    1. Ciao Arnaldo, grazie per il contributo!
      Per la stesura dell’articolo mi sono basato su tutta una serie di fonti online, e infatti nel testo dico (come giustamente puntualizzi) che non è un’epoca geologica ufficialmente riconosciuta dalla ICS.
      Non trovo però menzione di questa bocciatura: l’unica cosa che son riuscito a capire è che il working group ha sottoposto con voto favorevole la questione all’International Geological Congress del 2016, e su Nature leggo che nel 2019 hanno deciso di sottoporre nel 2021 alla ICS una proposta formale e ufficiale (www.nature.com/articles/d41586-019-01641-5). Non sono riuscito a capire come sia poi evoluta la situazione nel corso degli ultimi due anni, anche se dal tuo commento deduco che l’ambiente sia poco favorevole.

  2. Sto leggendo, non senza difficoltà, il bel libro di Pellegrino e Di Paola del 2018, e credo che i problemi evidenziati non siano tanto di forma rigorosa della definizione o meno di Era geologica, quanto piuttosto di contenuti, altro che meteorite! Un evento catastrofico dura poco e porta conseguenze durature nel tempo, mentre la specie umana in meno di 12000 anni ha generato tantissime “piccole catastrofi” che si sono accumulate una sull’altra senza sosta fino ai giorni nostri, in un crescendo che non trova fine. Siamo peggio di un meteorite. Per quantificare l’impatto umano sul pianeta è molto interessante anche il classico “armi acciaio e malattie”. Ribadisco: è poco importante incasellare l’Antropocene tra le ere geologiche o meno, puó essere una nuova era o un nuovo nome per l’olocene, decidessero gli esperti, la cosa importante è divulgare e far conoscere a tutti la gravità della situazione.

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