ExtraViaggio nel sistema periodico

003 – Litio


Il terzo elemento del Sistema Periodico è il litio (link alla lettura della scheda), che ci introduce nello sterminato regno degli elementi che nell’Universo sono presenti soltanto in tracce, perché per produrli servono le stelle! Se Cristo si è fermato a Eboli, l’Universo si è infatti fermato al litio. Appena un miliardesimo dei nuclei prodotti nei primi minuti dopo il Big Bang erano di questo elemento.

Con il litio arrivano tantissime novità: è il primo metallo, il primo solido, il primo elemento del secondo periodo, il primo metallo alcalino, il primo di quel “qualcos’altro” che non è idrogeno o elio e che costituisce qualsiasi cosa non sia una stella. Tutto questo perché con idrogeno ed elio è stato completato il primo livello energetico, che può contenere al massimo due elettroni. Il terzo elettrone del litio va quindi a occupare il primo posto disponibile nel livello successivo, dando inizio al secondo periodo della Tavola.

Un metallo molto suscettibile

Questo elettrone è però un po’ in periferia. I due elettroni più interni agiscono come degli schermi, compensando gran parte della carica positiva (attrattiva) nel nucleo e rendendo il legame del terzo elettrone molto debole. Questo influenza pesantemente la dimensione dell’atomo, che risulta quasi cinque volte più grande di quello di elio! Tale elettrone diventa quindi una sorta di proprietà comune condivisa da tutti: si forma un reticolo cristallino, che rende questo elemento solido a temperature molto più elevate rispetto a idrogeno ed elio. La libertà di movimento di questi elettroni condivisi permette di condurre agilmente la corrente elettrica, ed ecco quindi che emerge il comportamento metallico. Data la dimensione ridotta del suo nucleo è il meno denso di tutti i metalli, tanto da poter galleggiare nell’acqua!

Bene, non immergetelo mai. Quando il litio è in compagnia di altri atomi il suo comportamento cambia. Quell’elettrone aggiuntivo è molto fastidioso, perché ogni elemento della tavola periodica vuole assomigliare il più possibile a un gas nobile. Questa è una regola da imprimere a fuoco nella mente, perché è la legge fondamentale della chimica. Il litio se ne vuole disfare il prima possibile perché in tal modo diventerebbe come l’elio. Ciò significa che è un elemento molto reattivo! A contatto con l’ossigeno dell’aria si ossida rapidamente e perde il suo colore bianco-lucente (per questo è spesso conservato sott’olio).

Quando tocca l’acqua avviene una violenta reazione, in cui il litio scaccia un idrogeno dalla molecola d’acqua e ne prende il posto. Si formano così idrossido di litio (LiOH, una base molto potente) e idrogeno gassoso infiammabile, che può incendiarsi per il calore della reazione. In pratica prende fuoco, lasciandosi alle spalle una soluzione alcalina corrosiva di idrossido di litio. Questo comportamento lo rende il capostipite dei metalli detti appunto alcalini, il primo gruppo della tavola.

Raro come il litio!

Campione praticamente perfetto di petalite

Il litio fu identificato nel 1817 dal chimico svedese Johan August Arfwedson, che lavorava nei laboratori di Jöns Jakob Berzelius. Fu quest’ultimo a sceglierne il nome: deriva dal greco “lithos”, pietra, in quanto isolato da una roccia, un campione di petalite. Qui sulla Terra il litio è un elemento relativamente reperibile, ma a causa della sua reattività non lo si trova mai in forma pura bensì legato ad altri elementi.

Non ce n’è poco: si parla di 230 miliardi di tonnellate nelle acque di mare e circa 28 milioni di tonnellate nelle miniere sfruttabili. È abbastanza per produrre alcuni miliardi di auto elettriche, e nel futuro tale disponibilità aumenterà man mano che si scoprono nuovi giacimenti e che il valore della risorsa sale rendendone sempre più conveniente l’estrazione. Il problema odierno è il ritmo a cui lo riusciamo a estrarre. Oltre alle batterie, viene usato per la produzione di ceramiche, lubrificanti e leghe di acciaio e alluminio. Il carbonato di litio è usato come stabilizzatore dell’umore. È il titolo di una canzone dei Nirvana!

Nella storia dell’Universo, il litio primordiale non ha avuto vita facile, perché la relativa instabilità nel suo nucleo lo rende soggetto a trasformarsi in elio. Nelle stelle giovani viene rapidamente distrutto e la sua presenza può essere usata per capire se una protostella ha già innescato le reazioni di fusione nucleare. Oggi viene prodotto principalmente nelle atmosfere delle stelle morenti, per frammentazione di nuclei più grandi, e una parte minore nei raggi cosmici, tramite un processo noto come spallazione. In esso un raggio cosmico molto energetico (un protone o un elettrone) colpisce un atomo più pesante (come carbonio, azoto od ossigeno) spaccandolo in pezzi più piccoli. Tra questi può appunto esserci il litio. Questi processi sono tuttavia molto inefficienti, e ciò rende il litio un elemento relativamente raro nell’Universo (10 parti per miliardo).

La fine del mondo

Scheda della composizione isotopica del litio
con riportato l’intervallo naturale di variazione
della massa atomica

Il litio possiede due isotopi stabili: 7Li (litio-7 ~95%) e 6Li (litio-6 ~5%). Quest’ultimo è una bestia rara, perché è uno dei soli quattro nuclidi stabili ad avere protoni e neutroni in egual numero e dispari (3 e 3). La storia del litio va a braccetto con quella della fisica nucleare, perché la prima reazione di trasmutazione realizzata dall’uomo fece uso proprio di questo elemento. Era il 1932: John Cockcroft ed Ernest Walton bombardarono del litio-7 con protoni (nuclei di idrogeno) per produrre berillio-8, il quale decade rapidamente in particelle alfa (nuclei di elio). La fisica aveva battuto l’alchimia!

Da allora il rapporto del questo elemento con la fisica nucleare si fece sempre così profondo da renderlo l’ingrediente fondamentale per scatenare la fine del mondo. Il litio è infatti il combustibile principale di una bomba termonucleare, o bomba H. All’interno di questi dispositivi ci sono una bomba atomica a fissione “classica” (all’uranio), una cartuccia ricca di deuteruro di litio-6 (idruro di litio nel quale al posto dell’idrogeno c’è deuterio e il litio è raffinato in modo da essere litio-6 puro) e un guscio di uranio intorno al tutto. Quando la prima bomba a fissione esplode, i neutroni prodotti spaccano gli atomi di litio-6, producendo trizio ed elio-4.

Schema di quanto accaduto nel test
dell’ordigno “Castle Bravo

L’onda d’urto comprime immensamente il deuteruro di litio-6, così tanto che il deuterio e il trizio prodotto dalla fissione del litio-6 vanno incontro a fusione nucleare, producendo ancora più energia e neutroni. Il grande flusso di neutroni infine innesca la fissione nel guscio di uranio, causando la detonazione. Circa la metà dell’energia prodotta deriva dalla fusione nucleare del deuteruro di litio, l’altra metà dalla fissione ad alta efficienza del tampone di uranio.

Nelle prime bombe H il litio-6 però non era puro, vista la sua scarsa abbondanza naturale. Non si pensava però che questo fosse un problema, visto che il litio-7 era considerato inerte. Purtroppo, come scoprirono loro malgrado gli americani durante il test Castle Bravo, anche il litio-7 (che era il 60% del totale!) è in grado di partecipare alle reazioni. La detonazione produsse un’energia 2,5 volte più grande del previsto, causando un fallout nucleare devastante.

Un elemento che ha quindi in pugno tanto la salvezza quanto la distruzione del mondo come lo conosciamo.

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