ExtraViaggio nel sistema periodico

010 – Neon


Il decimo elemento del Sistema Periodico è il neon (link alla lettura della scheda), che conclude finalmente il secondo periodo. Siamo infatti arrivati a quota 10 elettroni, che si distribuiscono due nel primo livello energetico e otto nel secondo. Non ci sono più spazi vacanti o elettroni spaiati, tutti sono contenti e soddisfatti. E quindi il neon è un pacifico gas nobile, incolore, inodore, insapore, atossico, monoatomico e totalmente inerte.

Non c’è nulla che possa spingere il neon a reagire, perché è perfetto. Nel mondo della chimica tutti gli elementi lottano allo stremo per poter assaporare anche solo per un attimo la maestà di un gas nobile. Il neon poi è il primo elemento a possedere un ottetto completo di elettroni. Però…

Non stuzzicare il can che dorme

C’è un però. Ripensiamo al fluoro: è così disperatamente affamato di quell’unico elettrone mancante al suo ottetto da diventare l’elemento più reattivo e violento del sistema periodico. Cosa succederebbe se si riuscisse in qualche modo a rendere il neon come il fluoro? A togliergli uno di quegli elettroni che gli conferiscono la sua tronfia aria di superiorità?

Nulla di buono. Se già il fluoro era geloso dei suoi sette elettroni, figuratevi come la prende il neon quando lo ionizzate. E già questo è un compito decisamente difficile, visto che solo l’elio ha un’energia di ionizzazione più alta. Il neon ionizzato è una belva assatanata così stupefacentemente reattiva da far sembrare il fluoro un cagnolino. La sua sete di sang… di elettroni è tale da piegare al suo volere persino gli altri gas nobili! Sono infatti note solo tre molecole contenenti neon: [NeAr]+, [NeH]+ e [HeNe]+. Il + indica che si tratta di molecole ionizzate (o ioni molecolari), rese possibili solo dall’assenza di un elettrone. Per recuperarlo il neon arriva al punto da aggredire un altro nobile, e formare una molecola temporanea con una carica non neutra.

Queste molecole sono possibili solo perché stiamo parlando di gas nobili. Qualsiasi altro elemento viene immediatamente spogliato di un elettrone e il neon si allontana senza formare alcun legame, nemmeno temporaneo. Che è il motivo per cui questi ioni molecolari durano pochissimo, il neon si impadronisce di un elettrone da un elemento di passaggio e il legame si spezza. Siccome il neon non forma composti stabili non è possibile misurarne l’elettronegatività secondo il criterio di Pauling, ma è possibile calcolarla usando la scala di Allen. In tale sistema, il neon ha elettronegatività 4,8, di gran lunga superiore a quella del fluoro!

Cenere stellare

Nell’Universo il neon è molto comune: è il quinto elemento dopo idrogeno, elio, ossigeno e carbonio. I primi due provengono dal Big Bang, mentre carbonio e ossigeno sono prodotti nelle stelle. Sulla Terra è invece piuttosto raro (18,2 ppm in atmosfera). Come già visto, il carbonio viene prodotto dal processo 3α, mentre l’ossigeno è un sottoprodotto occasionale della reazione quando al coro si unisce una quarta particella α. La fusione nucleare dell’elio in carbonio e ossigeno è la fonte di energia che tiene in piedi le giganti rosse.

La “ruota” del processo alfa, in basso

Il neon deriva dallo step successivo: la fusione del carbonio. Per innescarla servono stelle leggermente più massicce (tra le 7 e le 9 masse solari) di quelle che terminano la loro vita come nane bianche al carbonio-ossigeno (fino a 8 masse solari). In tale reazione due nuclei di 12C si scontrano, producendo 24Mg oppure un nucleo di 20Ne e una particella α. Ovviamente è più complicato di così, perché quello che sta accadendo è che la stella arrivata a questo punto inizia a risalire la scala dei processi-α. Gli elementi vengono costruiti un nucleo di 4He alla volta, e questo finisce per privilegiare la produzione di quelli con numero atomico pari.

Le temperature e le densità sono così elevate che comincia a diventare importante il fenomeno della fotodisgregazione, ovvero i fotoni intrappolati nel nucleo della stella sono abbastanza energetici da spaccare i nuclei atomici prodotti dalla nucleosintesi. Si parla di “fusione del carbonio” perché è il momento in cui le condizioni nel nucleo della stella permettono la fotodisgregazione dei nuclei di 12C, rigenerando particelle α libere di andare a ingrassare altri nuclei. Il risultato finale di questo step della nucleosintesi stellare è un nucleo costituito quasi esclusivamente di ossigeno, magnesio e neon. Se a questo punto la stella dovesse morire, il risultato è una nana bianca all’ossigeno-magnesio-neon, piuttosto rare e massicce rispetto alle controparti fatte di carbonio e ossigeno.

Un gas nuovo

Il neon è stato il penultimo dei gas nobili stabili a essere identificato, nel 1898. Mendeleev non sapeva che potessero esistere elementi chimici totalmente inerti, e quindi nella sua tavola la colonna per i gas nobili neanche compariva! Gli scopritori furono due inglesi, Sir William Ramsay e Morris Travers. Ramsay stava studiando l’aria liquefatta a bassissima temperatura, e giocava a catturare e isolare i gas che si liberavano man mano che la temperatura saliva (distillazione frazionata). In tal modo era stato possibile misurare la composizione chimica dell’atmosfera! Ramsay isolò dall’aria prima l’azoto (78%), l’ossigeno (21%) e l’anidride carbonica (all’epoca 0,03%), poi un nuovo gas nobile, l’argon (0,93%). L’esperimento venne via via migliorato, permettendo nel giro di sei settimane di identificare un altro gas nobile, il kripton (1,1 ppm) e infine proprio il neon (18 ppm). Il suo nome fu scelto dal greco antico per nuovo.

La prima caratteristica che colse l’occhio di Ramsay era il colore del neon quando sottoposto a scarica elettrica: un vibrante rosso vermiglio. Travers scrisse che “il bagliore della luce cremisi proveniente dal tubo era una storia a sé, ed era qualcosa da ammirare a lungo e da non dimenticare”. Passarano poco più di 30 anni ed ecco che in USA comparvero le prime insegne al neon: lunghi tubi di vetro soffiato e modellati a formare lettere e figure, riempiti di neon a bassa pressione e sottoposto a una forte differenza di potenziale. Il risultato è storia. Oggi è anche ampiamente utilizzato come refrigerante, dato il suo bassissimo punto di ebollizione e il suo alto potere refrigerante, 40 volte più dell’elio e 3 volte più dell’idrogeno.

La scoperta degli isotopi

Scheda della composizione isotopica del neon con riportata la massa atomica media
Scheda della composizione isotopica del neon
con riportata la massa atomica media

Il neon ha tre isotopi stabili, e anzi è l’elemento chimico grazie al quale venne fatta la scoperta stessa degli isotopi. Il tutto si deve a J. J. Thomson, lo scopritore dell’elettrone. In un suo esperimento incanalava un fascio di ioni di neon attraverso un campo magnetico, e ne osservava la deflessione con una lastra fotografica. Con somma meraviglia si accorse che il neon produceva due macchie sulla lastra, invece che una. Facendo i conti era chiaro che ciò era possibile se esistevano due tipi di neon diversi, chimicamente identici ma dalla massa leggermente diversa (e quindi accelerati diversamente dal campo magnetico).

1) 20Ne (neon-20), con 10 neutroni. È un isotopo perfettamente simmetrico, ottenuto a partire da 5 particelle α, e costituisce il 90,5% del totale. Deve la sua fortuna proprio alle modalità di produzione, che ne creano grandi quantità nelle stelle prima che queste esplodano in un modo o nell’altro, disperdendo i loro prodotti nello spazio.

2) 21Ne (neon-21), con 11 neutroni. È il meno abbondante (0,27%) ed è prodotto da rami secondari del processo α. In particolare, viene prodotto da un nucleo di 24Mg che si scontra con un neutrone e decade immediatamente sparando una particella α. Può essere anche prodotto per spallazione da raggi cosmici.

3) 22Ne (neon-22), con 12 neutroni. Costituisce il resto (9,25%) ed è prodotto similmente al 21Ne a partire da un nucleo di 25Mg.

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