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Le prime immagini scientifiche di James Webb

È il momento più atteso da quando il James Webb Space Telescope è stato lanciato, oltre sei mesi fa. Dopo settimane di lavoro, test e delicatissime procedure, finalmente la NASA ha pubblicato le primissime immagini scientifiche del telescopio spaziale più avanzato mai realizzato. Le prime di innumerevoli immagini che nei prossimi anni rivoluzioneranno letteralmente ciò che conosciamo del nostro universo.

Il Webb’s First Deep Field: l’immagine più profonda mai realizzata negli infrarossi

Il Webb’s First Deep Field. Credits: NASA, ESA, CSA, and STScI

Quando gli astronomi parlano di deep field, intendono immagini ottenute con un altissimo tempo di esposizione per fare emergere oggetti quanto più deboli e lontani. I deep field di Hubble – di cui il più celebre è l’Hubble Ultra Deep Field – sono passati alla storia non solo per la loro maestosa bellezza, ma soprattutto per il loro enorme valore scientifico, avendo aperto il proverbiale vaso di Pandora sulle prime fasi di vita dell’universo.

James Webb è particolarmente adatto a questo tipo di osservazioni: non solo per il suo enorme specchio da 6,5 metri, ma anche perché la sua sensibilità agli infrarossi gli permette di catturare luce di oggetti talmente lontani che il picco di emissione si è spostato proprio in questa banda per via del redshift cosmologico.

Per il primo deep field di James Webb, chiamato (con estrema fantasia) Webb’s First Deep Field, la NASA ha optato per SMACS 0723, un ammasso di galassie nella costellazione australe del Pesce Volante. La sua enorme massa distorce e amplifica le immagini di debole galassie retrostanti grazie al fenomeno del lensing gravitazionale

Stiamo vedendo migliaia di galassie in una regione di cielo grande quanto un granello di sabbia tenuto a un braccio di distanza. La luce dell’ammasso ha impiegato 4,6 miliardi di anni per arrivare a noi, ma quella delle galassie retrostanti ha impiegato ben 13 miliardi di anni, cioè è partita quando l’universo era ancora un bambino, “appena” un miliardo di anni dopo il Big Bang! 

In particolare, in questa immagine c’è la galassia più distante di cui siamo stati in grado di ottenere per via spettroscopica informazioni sulla sua composizione chimica: la sua luce è partita 13,1 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva appena 700 milioni di anni!

E non solo: tra queste galassie ci sono le strutture sub-galattiche più lontane mai osservate in assoluto in banda infrarossa. Le galassie visibilmente distorte a forma di arco, deformate dalla gigantesca massa di SMACS 0723, sono incredibilmente lontane, e visibili soltanto perché il lensing gravitazionale amplifica la loro luce. L’incredibile livello di dettaglio che James Webb riesce a raggiungere ha permesso di individuare ammassi globulari e strutture diffuse che prima non erano mai state osservate. Andando a zoomare si osservano anche sorgenti debolissime e lontanissime prima sconosciute.

L’immagine è stata ottenuta con la camera NIRCam, che osserva nel vicino infrarosso, ed è un mosaico di numerose immagini singole ottenute con un tempo totale di esposizione di 12,5 ore. Pensate: i deep field di Hubble avevano tempi di esposizione superiori a 10 giorni, e avevano una profondità analoga! È una cosa assolutamente incredibile.

Rispetto alle immagini monocromatiche di test che abbiamo visto nelle scorse settimane, queste sono immagini a colori, nel senso che sono stata realizzate combinando immagini ottenute con diversi filtri. Sono naturalmente falsi colori, dal momento che il telescopio osserva in banda infrarossa.

Lo spettro più dettagliato dell’atmosfera di un esopianeta

WASP-96 b è un gigante gassoso a 1150 anni luce da noi nella costellazione della Fenice. Ha il 48% della massa di Giove e orbita attorno a una stella di tipo G, come il nostro Sole. La sua orbita è estremamente stretta: pensate che il suo “anno” dura appena 3,4 giorni!

Dal nostro punto di osservazione il pianeta transita davanti al disco della sua stella madre. Un pianeta grande e con transiti frequenti è proprio la situazione ideale per caratterizzare per via spettroscopica la composizione chimica della sua atmosfera. Cosa significa? È più semplice di quello che sembra. Quando un pianeta passa davanti alla sua stella, la sua atmosfera è attraversata dalla luce della stella stessa. Gli atomi e le molecole presenti nell’atmosfera assorbono parte di questa luce, ma in modo molto “schizzinoso” e selettivo: ogni particolare molecola assorbe solamente luce con determinate lunghezze d’onda, che corrispondono esattamente all’energia necessaria per far “saltare” i loro elettroni.

Se noi quindi osserviamo soltanto la luce della stella che passa attraverso l’atmosfera del pianeta, e la scomponiamo nelle varie lunghezze d’onda di cui è composta, troveremo che alcune lunghezze d’onda “mancano”, perché sono state assorbite dalle molecole atmosferiche. Sapendo quali lunghezze d’onda sono state assorbite, possiamo determinare quali sono e quanto sono abbondanti i vari tipi di molecole di cui è composta l’atmosfera. 

È proprio quello che James Webb ha fatto con l’atmosfera di WASP-96 b. Questa è la prima volta che lo spettro dell’atmosfera di un pianeta extrasolare viene prodotto con questo livello di dettaglio. Si riescono addirittura a distinguere alcune caratteristiche spettrali della molecola d’acqua tipiche del vicino infrarosso!

Questo tipo di analisi è fondamentale per cercare possibili biosignatures, ovvero “firme chimiche” delle molecole che possono indicare la presenza di vita nei pianeti rocciosi. Per esempio, l’ossigeno è una molecola destinata a durare molto poco in atmosfera, vista la sua bramosia di ossidare qualunque cosa gli capiti a tiro o la sua tendenza a diventare ozono quando colpito da radiazioni sufficientemente energetiche. Ecco perché trovare grandi quantità di ossigeno atmosferico (come qui sulla Terra, per esempio) rappresenterebbe un fortissimo indizio della presenza di vita in un dato pianeta!

La Nebulosa della Carena

Un dettaglio della Nebulosa della Carena visto da James Webb. Credits: NASA, ESA, CSA, and STScI

Questa probabilmente è la più spettacolare delle immagini di James Webb rilasciate dalla NASA durante la prima tornata. Anzi, è una delle immagini più belle mai prodotte in assoluto. Non solo per la risoluzione pazzesca, ma anche per l’incredibile sensazione di tridimensionalità che trasmette. Sembra quasi di trovarsi lì di fronte!

A 7600 anni luce da noi si trova la nebulosa più grande come dimensioni apparenti nel nostro cielo: la Nebulosa della Carena. Si estende per ben 260 anni luce ed è una regione di idrogeno ionizzato che presenta un’intensa formazione stellare. Qui abitano numerose stelle molto giovani, calde e massicce, tra cui la mastodontica Eta Carinae.

Quello che stiamo osservando è un dettaglio del bordo della nebulosa, dove il gas interagisce intensamente con la radiazione ultravioletta proveniente dalle stelle circostanti. È questa infatti a modellare le forme così complesse e allo stesso tempo così meravigliose che possiamo osservare in questa immagine (un fenomeno chiamato fotoevaporazione). Sembra quasi di guardare un paesaggio montano!

Si vede chiaramente che il bordo della nebulosa è più spesso: qui infatti il materiale si addensa spinto dalla radiazione stellare. I “rigonfiamenti” che si osservano un po’ ovunque sono siti di formazione stellare. Qui la fotoevaporazione viene interrotta dal fatto che l’emissione della protostella al loro interno compensa la pressione esterna, rendendo i globuli resistenti all’erosione. La quantità di dettaglio e informazioni di questa immagine è semplicemente clamorosa!

La Nebulosa Anello del Sud

La Nebulosa Anello del Sud vista da James Webb nel vicino infrarosso (a sinistra) e nel medio infrarosso (a destra). Credits: NASA, ESA, CSA, and STScI

La Nebulosa Anello del Sud si trova a 2000 anni luce da noi nella costellazione delle Vele. Si tratta di una nebulosa planetaria, cioè una stella morente di massa simile al nostro Sole. Una volta diventata gigante rossa, la stella diventa instabile e comincia a espellere gradualmente i suoi strati più esterni, esponendo il nucleo caldo che emette la radiazione energetica. È questa radiazione che “accende” il materiale espulso dalla stella, creando questi oggetti bellissimi ed effimeri, che durano appena 10.000 anni circa.

Si tratta probabilmente della più dettagliata immagine mai ottenuta di una nebulosa planetaria. La quantità di dettaglio nelle turbolenze nelle nube di polveri e gas scolpite dalla radiazione della stella morente nel centro è semplicemente sensazionale. Nel medio infrarosso si distingue inoltre nettamente che la stella centrale non è una stella singola, ma sono in realtà due stelle: fatto, questo, che era stato sospettato per diverso tempo ma che non era mai stato dimostrato!

Il Quintetto di Stephan

Il Quintetto di Stephan visto da James Webb. Credits: NASA, ESA, CSA, and STScI

Questo è il famoso Quintetto di Stephan, un piccolo gruppo di galassie a 290 milioni di anni luce da noi. È il primo gruppo compatto di galassie a essere stato scoperto, dall’astronomo francese Édouard Stephan nel 1877. Nonostante il nome, il Quintetto è formato solamente da quattro galassie: quella in basso a sinistra non è legata gravitazionalmente alle altre (lo sembra soltanto per motivi prospettici). 

Questa è un’immagine ottenuta combinando i dati raccolti nel vicino infrarosso e nel medio infrarosso dai due strumenti dedicati del telescopio spaziale. Si nota una quantità di dettagli e sottostrutture prima assolutamente inosservabili. In particolare, essendo un’immagine infrarossa, emergono soprattutto le strutture relativamente “fredde” delle galassie, come le nubi di polveri interne alle galassie e nei filamenti che collegano le galassie interagenti. Qualcosa di mai visto prima!

Queste cinque immagini rappresentano ufficialmente l’inizio di una nuova era dell’astronomia contemporanea. Le prestazioni del telescopio James Webb sono tali infatti da rendere obsoleto qualunque altro strumento in grado di compiere le stesse osservazioni. Come Hubble ha rivoluzionato l’astronomia dal 1990 a oggi, James Webb è destinato a fare altrettanto nei due decenni a venire. Questo è l’inizio di un viaggio che sicuramente ci porterà molto, molto lontano…

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