009 – Fluoro
Il nono elemento del Sistema Periodico è un concentrato di furia cieca e violenza. Fate largo al fluoro! (link alla lettura della scheda). Questo incipit potrà sembrare esagerato, ma basta chiedere a un qualsiasi chimico cosa ne pensa del fluoro per assistere al mutare della sua espressione in orrore. O gioia, dipende dal chimico con cui state parlando.
Il fluoro non le manda a dire a nessuno. Tutto perché è il settimo elemento del secondo periodo: gli manca un solo elettrone per completare il livello energetico, un solo elettrone per diventare come un gas nobile. “Un elettrone per domarli tutti e nei fluoruri incatenarli”. Il fluoro è disposto veramente a tutto per ottenere questo singolo elettrone, persino reagire con alcuni gas nobili. Questo lo vediamo rispecchiato nel valore della sua elettronegatività, che è il più alto della tavola a quota 3,98.
Il fatto che sia perennemente alla ricerca dell’ottavo elettrone significa che è estremamente geloso dei sette che già possiede. La schermatura di carica del nucleo, così importante per determinare le proprietà del litio, è ormai quasi completamente scomparsa. L’atomo di fluoro è compatto e difficile da ionizzare, secondo solo a elio e neon.
Il padre dei sali
La sua reattività estrema fa sì che in natura non esista fluoro puro, al contrario di carbonio, azoto e ossigeno (questi però solo grazie alle piante). Forma anche lui molecole biatomiche, ma con un legame singolo molto debole. Se già l’ossigeno biatomico col suo doppio legame era reattivo, figurarsi il fluoro. Sulla Terra si trova dentro alla fluorite (fluoruro di calcio, CaF), del quale vedete uno spettacolare esempio nella foto in scheda elemento. La fluorite possiede proprietà ottiche particolari che la rendono molto utile per la produzione di lenti.
Questa fame insaziabile di elettroni si oppone al carattere degli elementi nel primo e secondo gruppo. I metalli alcalini e alcalino-terrosi sono molto generosi con i loro elettroni esterni, proprio perché a loro basta perderne uno o due per assomigliare a un gas nobile. Cosa succede quindi se si unisce il fluoro a uno di questi elementi? Il delirio. La reazione è estremamente violenta, quasi esplosiva. I prodotti di reazioni del genere sono però molto stabili e comuni: i sali. Il gruppo del fluoro è infatti quello degli elementi alogeni, dal greco hàls–genēs ovvero i creatori di sali. I fluoruri sono sali comuni, ma non tutti sono solubili.
Fluoro il demonio
Il fluoro puro è un gas giallo dall’odore pungente, tanto che siamo in grado di percepirne appena 20 parti per miliardo. 25 parti per milione causano irritazione di occhi e polmoni, e 1000 ppm causano morte rapida. La reattività del fluoro non è uno scherzo o un’esagerazione narrativa, e solo elio e neon si salvano.
Il composto che forma con l’idrogeno, l’acido fluoridrico (HF), è una delle poche sostanze a non poter essere conservata in contenitori di vetro, perché se li mangia. Nonostante ciò non è un acido fortissimo, e quando si guardano da vicino alcune sue proprietà ci si accorge che assomigliano di più a quelle dell’acqua (grazie al legame idrogeno) che a quelle degli altri acidi alogenidrici.
La follia però la si raggiunge quando il fluoro si combina con altri alogeni. Per esempio, il trifluoruro di cloro (ClF3) è una delle sostanze più devastanti note. È in grado di dar fuoco persino a sabbia, amianto e cemento, e non esiste nulla in grado di estinguere la reazione chimica. Con una tale premessa, è chiaro che la chimica del fluoro è qualcosa di estremamente pericoloso da affrontare.
Fluoro l’intoccabile
La storia del fluoro inizia nel 1529, quando Georg Agricola descrive delle sostanze usate per abbassare il punto di fusione nei metalli. Siccome tali additivi facevano “scorrere” meglio il metallo fuso le chiamò fluores, dal latino fluor (scorrere), e il minerale in questione fu battezzato fluorite. A fine Seicento si scopre che dalla fluorite si ottiene un acido in grado di intaccare il vetro, che nel 1771 Carl Scheele battezza “acido di fluorspato”. Nel 1810 André-Marie Ampére ipotizzò che tale acido fosse costituito da idrogeno e un nuovo alogeno, e in una lettera a Humphry Davy propose il nome fluorine, in assonanza con i già noti chlorine (cloro) e bromine (bromo). In greco prese invece un nome che è un programma: phthorios, ovvero distruttore, filtrato poi nel russo ftor.
Ci vollero quasi 80 anni per confermare la predizione di Ampére. Il fluoro si rivelò una belva incontenibile, perché distruggeva gli apparati dei chimici non appena veniva forzato ad assumere forma pura. E non solo gli apparati! Avvennero innumerevoli incidenti (alcuni anche mortali) nel tentativo di isolare questo elemento rabbioso, tanto che fu coniata l’espressione “martiri del fluoro”. La sua esistenza però era così certa che Mendeleev lo incluse nella prima tavola periodica della storia, nel 1869.
Finalmente nel 1886 Henri Moissan riuscì a produrre fluoro elementale grazie a una forma molto complessa e avanzata di elettrolisi, cosa che gli valse il premio Nobel per la chimica nel 1906. Il discorso di conferimento la dice tutta: “Professor Moissan, il mondo intero ha ammirato la grande abilità sperimentale con la quale avete isolato e studiato il fluoro – quella bestia selvaggia tra gli elementi”.
Fluoro l’indistruttibile
La fame di elettroni del fluoro significa che, una volta formato il legame, questo elemento non torna volentieri single. I suoi composti finali sono quindi molto stabili e dalle innumerevoli applicazioni.
Ecco dunque i fluorocarburi (FC) e gli idrofluorocarburi (HFC), i nuovi gas refrigeranti del mondo. Tale compito era riservato un tempo ai clorofluorocarburi (CFC), banditi dal Protocollo di Montreal per via della loro capacità di distruggere l’ozono atmosferico. Attualmente sono in uso gli idroclorofluorocarburi (HCFC), meno dannosi ma comunque indesiderabili. Questi sono anche gas dall’elevato potere effetto serra, anche 10.000 volte più dell’anidride carbonica.
Legare atomi di fluoro alle catene del carbonio le rende più stabili, abbassa i punti di fusione ed ebollizione e ne riduce la solubilità in altri idrocarburi. I perfluorocarburi (nei quali il fluoro ha sostituito tutto l’idrogeno possibile) possono essere combinati in catene a formare i fluoropolimeri. Uno di questi è famosissimo: il politetrafluoroetilene (PTFE), commercializzato come Teflon. Intoccabile, inattaccabile, inalterabile, isolante, insolubile, ci fan vestiti, suole e padelle. Questo senza menzionare la miriade di altri prodotti idrorepellenti e antiadesivi.
Biologicamente lo si trova nello smalto dei denti, e la sua assunzione ne permette la remineralizzazione. Questo ostacola la comparsa e l’approfondimento delle carie, motivo per cui lo si trova nei dentifrici e l’acqua addizionata di fluoruri è molto diffusa negli Stati più sviluppati.
Ultimamente godono di molta esposizione mediatica gli acidi perfluoroalchilici, o PFAAs (I “pifas” del giornalismo). Tracce di queste sostanze sono ormai ovunque nell’ambiente, grazie alla loro solubilità (hanno un gruppo funzionale acido) e alla loro biopersistenza. È stato dimostrato che dosi massicce di PFAAs sono cancerogene, ma la ricerca è inconclusiva quando si parla di dosi basse o bassissime.
Fluoro il solitario
Il fluoro possiede un unico isotopo stabile: 19F (fluoro 19), con 10 neutroni. È il secondo elemento monoisotopico che troviamo, dopo il berillio, ma è il primo elemento dispari a non avere isotopi stabili con lo stesso numero di neutroni e protoni. Anzi, non ce ne saranno mai più: il 18F (fluoro-18), fatto simmetricamente da 9 protoni e 9 neutroni, è instabile e dimezza in circa due ore.
In quanto ad abbondanza nell’Universo si piazza al 24esimo posto, molto meno dei suoi vicini ossigeno (al terzo posto) e neon (al quinto posto). È qualcosa di già visto, e avviene perché la nucleosintesi stellare a questo punto procede appiccicando particelle α (nuclei di 4He) come mattoncini, andando di elemento pari in elemento pari. C’è solo un ramo improbabile del ciclo CNO che produce fluoro, e la quasi totalità arriva dalle esplosioni di supernova di stelle massicce.
La sua natura monoisotopica, la leggerezza dell’atomo e la sua aggressività lo rendono l’elemento prediletto per l’arricchimento del combustibile nucleare. L’uranio naturale infatti non contiene abbastanza uranio fissile (l’isotopo 235U), che va quindi separato dal suo collega più inerte e abbondante (l’isotopo 238U). Il fluoro viene fatto reagire con l’uranio, formando esafluoruro di uranio (UF6). La leggera differenza di massa tra le molecole formate dai due isotopi ne permette la separazione.
Il 18F, radioattivo, viene utilizzato nella PET, la tomografia a emissione di positroni. La sua emivita di circa due ore gli permette di essere trasportato e assorbito dai tessuti che si vuole analizzare attraverso l’assunzione di un radiofarmaco. Il suo decadimento produce innocuo 18O.