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Sonda Dart, schiantarsi contro un asteroide per difendere la Terra

Cosa succederebbe se scoprissimo che un grande asteroide puntasse dritto verso il nostro pianeta? Molto semplicemente, saremmo f… regati.

Eh si, perché al momento non esiste alcuna tecnologia in grado di difenderci da simili minacce cosmiche. Fino ad ora, perché all’1:14 italiana di martedì 27 settembre avverrà il primo test di difesa planetaria nella storia. La sonda della NASA DART, lanciata lo scorso 24 novembre, si schianterà contro un asteroide cercando di deviarne la traiettoria fornendoci una ipotetica e possibile arma in caso di un futuro pericolo proveniente dallo spazio.

Bruce Willis ha davvero salvato la Terra?

Double Asteroid Redirection Test (DART) è una missione preparata dalla NASA con lo specifico scopo di testare per la prima volta un meccanismo di difesa planetaria. Sembra strano, ma finora difendere il pianeta da minacce asteroidali era qualcosa relegato solo alla fantasia dei film hollywoodiani. DART, tuttavia, non ha nulla di nucleare a bordo. Anzi, non ha letteralmente nulla a bordo se non una fotocamera per inviare immagini a Terra.

DART non è una classica sonda planetaria, il suo destino era già scritto. La notte tra il 26 e 27 settembre la sonda di oltre 500 kg di massa si schianterà a oltre 23.000 km/h sulla superficie di un piccolo asteroide di 170 metri di diametro chiamato Dimorphos che orbita a una distanza di 1,18 km attorno a un corpo più grande di oltre 750 metri di diametro, chiamato Didymos. Questo impatto cinetico ha l’obiettivo di trasferire all’asteroide l’energia cinetica della sonda proprio tramite l’impatto. In questo modo l’asteroide cambia la propria energia cinetica e quindi il proprio moto, rallentando o accelerando a seconda di come avviene l’impatto, modificando così la propria traiettoria. Detto in soldoni, DART si schianterà contro Dimorphos nel tentativo di deviarlo.

Come dovrebbe cambiare l’orbita di Dimorphos attorno a Didymos dopo l’impatto di DART. Credits: NASA.

L’impatto cinetico non è l’unico possibile metodo di difesa: dai trattori gravitazionali, che mirano a cambiare il percorso di un asteroide trascinandolo via gravitazionalmente dalla propria traiettoria fino ad arrivare proprio alle armi nucleari. C’è quindi un fondo di verità nei tentativi alla Bruce Willis? Beh, sì: la difesa nucleare può essere l’ultimo baluardo possibile in casi davvero disperati, ma il buon Bruce non avrebbe mai potuto salvare il nostro pianeta. Per distruggere una cometa di 1000 km di diametro come quella del film Armageddon sarebbero servite testate nucleari 2 miliardi di volte più potenti di quelle mai esplose dall’essere umano, secondo uno studio inglese.

Quale difesa usare e come usarla è tuttavia un tema molto delicato. Le variabili in gioco sono infatti tantissime, dalle dimensioni dell’asteroide a quanto prima viene scoperto, due parametri che sono cruciali per capire quale azione poter intraprendere, senza trascurare direzione, velocità e composizione dell’asteroide.

I possibili meccanismi di difesa planetaria sulla base delle dimensioni dell’asteroide e del preavviso. Credits: M. Ozimek et al.

Perché Dimorphos?

L’immagine che vedete qui sotto rappresenta le orbite di oltre 1400 asteroidi potenzialmente pericolosi (PAH) mappati almeno fino al 2013: si considera potenzialmente pericoloso un oggetto che orbita vicino alla Terra (Near Earth Object, NEO) la cui distanza minima d’intersezione col nostro Pianeta è inferiore a 0,05 Unità Astronomiche (poco meno di 20 oltre la distanza Terra-Luna) e con una magnitudine assoluta di 22 o più brillanti.

Ad oggi ne abbiamo mappati 1826 (di cui 157 più grandi di 1 km), e continuiamo a scoprirne ogni giorno (fino a un centinaio all’anno). L’asteroide (53319) 1999 JM8 è probabilmente il più grande asteroide potenzialmente pericoloso conosciuto, con oltre 7 km di diametro e una magnitudine assoluta poco superiore a 15. Un oggetto di questo tipo causerebbe danni quasi a livello estintivo: ricordate che l’asteroide che provocò l’estinzione dei dinosauri era grande circa 13 km. Quello che provocò l’esplosione in cielo a Chelyabinsk era grande solo qualche decina di metri (20 metri circa).

Asteroidi poco più grandi possono già causare molti danni ad una città o causare uno tsunami se cadesse in mare, per questa ragione è di fondamentale importanza studiare possibili contromisure.

Tutte le orbite degli asteroidi vicini alla Terra mappati al 2013. Credits: NASA

Didymos-Dimorphos è un cosiddetto sistema binario, ovvero in cui un corpo più piccolo orbita attorno a uno più grande. Non è una cosa sorprendente: circa il 15% dei 26mila asteroidi vicini alla Terra appartengono a sistemi binari. Una piccola percentuale non è solo vicina, ma è anche potenzialmente pericolosa, ha ovvero una probabilità in futuro di poter costituire una minaccia per il nostro pianeta. Per I prossimi cento-duecento anni dovremmo poter stare relativamente tranquilli, ma gli asteroidi sono oggetti bizzarri e spesso imprevedibili. Sono oggetti piccoli, al massimo di qualche chilometro di diametro, che vagano nel sistema solare intersecando le orbite di corpi celesti molto più grandi di loro, i pianeti.

Non è quindi impossibile che le loro traiettorie possano subire cambiamenti con perturbazioni anche minime che potrebbero in futuro tradursi in cambiamenti notevoli e potenzialmente pericolosi. Un asteroide che oggi non sembra costituire un pericolo, potrebbe in realtà diventarlo rapidamente nei prossimi decenni. Gli asteroidi sono inoltre oggetti che oltre a essere piccoli sono anche quasi sempre molto scuri, riflettendo poca luce solare, due aspetti che li rendono molto difficili da individuare salvo quelli davvero grandi. La maggior parte è compresa tra trenta metri e qualche centinaio di metri di diametro, dimensioni in grado di causare danni notevoli per I quali, però, la tecnica dell’impatto cinetico potrebbe essere estremamente efficace. Ecco uno dei motivi principali che spiegano la scelta di Didymos-Dimorphos.

Perché, però, colpire il più piccolo dei due? Per semplice comodità: è molto più facile valutare gli effetti dell’impatto sulla traiettoria di un asteroide in orbita attorno a un altro asteroide rispetto a studiare gli effetti su un asteroide in orbita attorno al Sole. Per un sistema binario, quindi, il moto dell’asteroide colpito dovrebbe subire cambiamenti più importanti e su tempi scala molto più brevi.

LICIACube e il contributo italiano

Come facciamo a osservare I possibili effetti dell’impatto di DART? L’impatto sarà osservato dal piccolo cubesat made in Italy LICIACube, e i suoi effetti saranno poi monitorati con precisione dalla sonda dell’agenzia spaziale europea Hera, prevista per il 2024. Quando DART è partita dalla Terra, infatti, non era da sola: a bordo aveva proprio LICIACube, un piccolo satellite costruito dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) con il contributo industriale di Argotec e un team scientifico, coordinato da INAF, e che comprende diversi istituti e università italiane.

LICIACube monta a bordo due camere, Luke e Leia, la prima a grande campo e la seconda a campo stretto ad alta risoluzione, il cui scopo è raccogliere immagini dello schianto da una distanza di sicurezza di circa 50 km. Lo scopo principale è monitorare gli effetti dell’impatto di DART, analizzare il cratere prodotto dall’impatto, studiare I detriti sollevati dallo schianto e avere informazioni fondamentali sulla composizione dell’asteroide. LICIACube si è separato con successo dalla sonda madre DART nella notte tra l’11 e 12 settembre, inviandoci, tra l’altro, le prime immagini del nostro pianeta mai visto da così distante (14 milioni di km) da un manufatto italiano. Una missione fondamentale per il nostro pianeta e un contributo italiano di cui andare orgogliosi e che conferma, ancora una volta, la nostra posizione di riferimento nel panorama internazionale dell’esplorazione spaziale.

La foto della Terra da 14 milioni di km di distanza scattata dalla camera LEIA montata a bordo di LICIACube. Credits: ASI/NASA

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