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Il primo oggetto interstellare?

L’8 gennaio 2014 i cieli della Papua Nuova Guinea furono solcati da una meteora particolarmente luminosa. All’apparenza uno dei tanti bolidi che attraversano continuamente la nostra atmosfera, se non fosse che l’oggetto, osservato dai sensori del CNEOS (Center for Near-Earth Object Studies) del JPL, non sembrava come tutti gli altri. 

Questo è l’inizio di una storia abbastanza complessa che si dipana tra segreti militari, articoli scientifici mai pubblicati e un acceso dibattito sulla natura di quel bolide, che potrebbe essere il primo oggetto interstellare mai osservato. 

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, al netto dei titoli sensazionalistici che si stanno leggendo un po’ ovunque in giro.

La scoperta

Tutto cominciò ad alta velocità. Letteralmente. Gli strumenti di CNEOS rilevarono infatti che questo bolide era incredibilmente rapido: ben 44,8 km/s, molto più di quanto ci si aspetterebbe da un sassolino vagante del nostro sistema solare. 

Cinque anni dopo, nel 2019, Amir Siraj e Abraham Loeb della Harvard University analizzarono quei dati e proposero che si trattasse di un oggetto interstellare, cioè proveniente da un altro sistema stellare. Ipotesi rafforzata dal fatto che, secondo Siraj e Loeb, la traiettoria dell’oggetto sembrerebbe essere stata iperbolica, proprio come ci si aspetterebbe da un oggetto interstellare, con una confidenza dichiarata del 99,999%. 

A oggi sono noti due soli oggetti interstellari transitati nel nostro sistema solare: ’Oumuamua e la cometa Borisov, scoperti rispettivamente nel 2017 e nel 2019. Qui però si sta parlando di un corpo osservato nel 2014, ben tre anni prima di ’Oumuamua. Questo renderebbe il piccolo sassolino spaziale (largo appena 45 cm) il primo oggetto interstellare mai individuato nel sistema solare. E il primo a noi noto ad avere impattato il nostro pianeta.

la cometa 2I/Borisov, scoperta il 30 agosto 2019 dall’astrofilo Hennadij Borisov. È il secondo corpo di origine interstellare a noi noto ad aver attraversato il sistema solare.
Un’immagine del telescopio spaziale Hubble della cometa 2I/Borisov, scoperta il 30 agosto 2019 dall’astrofilo Hennadij Borisov. Si tratta del secondo corpo di origine interstellare a noi noto ad aver attraversato il sistema solare. 
Credits: NASA, ESA, and D. Jewitt (UCLA)

Il governo USA conferma

Recentemente, un accordo siglato tra la NASA e la USSF (U.S. Space Force) ha autorizzato la divulgazione di una grande mole di dati raccolti sui bolidi dal governo americano, finora protetti dal segreto militare, a beneficio di chi si occupa di difesa planetaria e in generale della comunità scientifica. Grazie a questo accordo, il 7 aprile è stato reso pubblico un memorandum dello U.S. Space Command risalente al 1° marzo 2022. In questo memorandum John E. Shaw, tenente generale dello USSF, dichiara che Joel Mozer, scienziato dell’USSF, ha analizzato tutti i dati disponibili al Dipartimento della Difesa statunitense, confermando che «le stime di velocità riportate alla NASA sono sufficientemente accurate da indicare una traiettoria interstellare».

La conseguenza è ovvia: molte testate hanno raccontato la vicenda dando per scontato che questo sia effettivamente stato un oggetto interstellare. Questa affermazione però andrebbe presa con le pinze. Vediamo perché.

Non tutto è interstellare quel che luccica

Non tutti condividono la certezza granitica mostrata da Siraj, Loeb e dalla U.S. Space Force. Un comunicato ufficiale della NASA pubblicato il 7 aprile riconosce la conferma portata da Mozer, ma ammonisce che «la breve durata dei dati raccolti, meno di cinque secondi, rende difficile determinare definitivamente se l’origine dell’oggetto fosse effettivamente interstellare».

Questa posizione è sostenuta da svariati scienziati ed esperti. Già l’articolo originale di Siraj e Loeb, infatti, non aveva convinto tutti. 

Innanzitutto, l’articolo non è mai stato sottoposto a peer-review (cioè la revisione critica da parte di altri scienziati) poiché la prestigiosa rivista scientifica «Astrophysical Journal Letters» aveva rifiutato di pubblicarlo (stando a Siraj, questo sarebbe dovuto al fatto che parte dei dati era stata secretata dal governo statunitense). 

In secondo luogo, un articolo scientifico pubblicato poco dopo quello di Siraj e Loeb sostiene che i dati a disposizione non sono sufficienti per avere una descrizione cinematica completa della traiettoria di questo oggetto, e di conseguenza per confermare con certezza l’ipotesi della sua origine interstellare. Jorge I. Zuluaga, autore del paper, ricorda inoltre che avere una traiettoria iperbolica «non significa sempre che l’oggetto sia effettivamente interstellare».

L’obbligo del condizionale

La questione, insomma, rimane aperta. Al momento la “scoperta” non è supportata da nessun articolo scientifico peer-reviewed; le uniche voci sottoposte a questa pratica sono decisamente più caute.

Al momento Siraj ha difeso l’ipotesi sua e di Loeb in un’intervista alla rivista «Vice», ma è presumibile (e anzi auspicabile) che Siraj e Loeb si apprestino ora a usare i nuovi dati rilasciati pubblicamente per produrre un articolo scientifico con tutti i crismi che possa aiutare a chiarire la situazione in un senso e nell’altro. Fino a quel momento rimane d’obbligo il condizionale.

Una passione per gli extraterrestri

Abraham Loeb è un astrofisico noto per il suo interesse verso gli oggetti interstellari. Un interesse che è diventato evidente nel 2018, quando pubblicò un articolo in cui esaminava l’anomala accelerazione di ’Oumuamua, proponendo varie spiegazioni tra cui quella particolarmente azzardata e fantasiosa della natura artificiale del corpo celeste. Lo studio tornò alla ribalta lo scorso anno grazie all’uscita di un suo libro proprio su questo argomento. All’inizio di quest’anno Loeb ha annunciato il Progetto Galileo, il cui scopo è cercare indizi di tecnologie extraterrestri nei dati astronomici. 

Insomma, Loeb è molto appassionato dell’argomento. E infatti non ha mancato di sottolineare il fatto che il bolide osservato da CNEOS nel 2014, se fosse interstellare, potrebbe anche essere artificiale. La prova del nove sarebbe naturalmente trovarne un frammento, ma sarebbe uno sforzo titanico e forse inutile, vista l’enorme area di ricerca, la possibilità che i frammenti siano caduti nell’oceano e la possibilità che nessun frammento sia sopravvissuto all’attrito con l’atmosfera. 

Tutto questo comunque sembra al momento quantomeno prematuro. La natura di questo oggetto non è ancora stata stabilita con certezza e la priorità è ora affrontare il dibattito nelle sue sedi più opportune, che non sono le riviste giornalistiche ma le riviste scientifiche.

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