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Vita su Marte? Non proprio!

Il 10 settembre, alle 17:00, la NASA ha tenuto una conferenza stampa per un annuncio molto importante: nelle rocce osservate da Perseverance su Marte è stata trovata una possibile biofirma! Andiamo a vedere cosa significa.

La nostra live dell’annuncio!

Non così in fretta!

Innanzitutto, è importante dire cosa questo annuncio NON è:

  • Non hanno scoperto la vita su Marte
  • Non hanno scoperto fossili di vita su Marte
  • Non hanno scoperto tracce dirette di vita su Marte, passata o presente.

Tutte e tre queste scoperte richiederebbero la presenza su Perseverance di strumenti e sensori molto più avanzati e complessi di quelli che, attualmente, riusciamo a spedire su Marte. Questo significa che anche se fosse, Perseverance non è in grado di compierle. Attenzione quindi ai proclami fatti con parole diverse da quelle scelte dagli scienziati, come avvenuto con K2-18b.

Le rocce oggetto di questo annuncio avevano attirato per la prima volta l’attenzione del mondo nel 2024, e già allora si era parlato di vita extraterrestre.

La formazione Bright Angel

Un autoscatto di Perseverance che mostra il panorama dal fondo della Neretva Vallis, con in primo piano la roccia Chevaya Falls che mostra i segni del campionamento.
Selfie di Perseverance scattato il 23 luglio 2024 (Sol 1218) con la roccia Cheyava Falls, che mostra i segni del campionamento

Nel luglio del 2024 gli scienziati che operano Perseverance avevano annunciato di aver scoperto, e campionato, una roccia molto interessante, dal nome di Cheyava Falls. In quel momento il rover stava esplorando le pareti della Neretva Vallis, il nome che è stato dato all’antichissimo affluente che fino a 3,5 miliardi di anni fa riforniva un grande lago nel cratere Jezero. La valle è profondamente incisa nel paesaggio marziano ed è ampia circa 400 metri al fondo. Un fiume di tutto rispetto! Ormai la questione che Marte abbia posseduto in passato corpi di acqua liquida (mari, laghi, fiumi) e un ciclo dell’acqua non è quasi più oggetto di discussione. Piuttosto, si vuole capire se questo abbia permesso la nascita della vita. Da ciò la scelta di Jezero come sito scientifico per Perseverance.

Immagine che mostra il campo di lavoro Beaver Falls, che contiene sulla sinistra la roccia in esame.
I siti oggetto di indagine e della scoperta

Mentre Perseverance risaliva la valle della Neretva, i ricercatori hanno identificato una formazione sedimentaria molto interessante, che ha preso il nome di Bright Angel Formation, come una delle unità sedimentarie più importanti del Grand Canyon statunitense. I nomi non sono scelti a caso, ma in base a un tema stabilito a inizio missione: in questo particolare quadrante tutto ciò che verrà etichettato e scoperto riceverà nomi dal Grand Canyon. La formazione Bright Angel marziana è fondamentalmente un mucchio di sassi spaccati, smussati e depositati dall’antico fiume Neretva.

Tra le decine di rocce appartenenti alla formazione c’è appunto Cheyava Falls (nome di una cascata terrestre molto bella). Si tratta di una roccia (forse) sedimentaria grande circa 1,0 m x 0,6 m, costituita da vene biancastre di solfato di calcio intervallate da bande rossastre ricche di ematite (minerale OVUNQUE su Marte, responsabile del suo colore rosso). Le bande bianche contengono dei grossi cristalli di olivina, tipica delle rocce magmatiche. Che ci faccia lì è però un’altra storia, perché ad attirare l’attenzione dei ricercatori è quello che c’è dentro l’ematite.

Macchie di leopardo

Microfotografia della roccia Chevaya Falls che mostra una banda arancione tra due biancastre. All'interno della banda arancione ci sono tanti noduli circolari biancastri circondati da un sottile alone nero.
Microfotografia della roccia Cheyava Falls – Crediti: NASA

Nella vena di ematite rossastra, infatti, ci sono molte inclusioni rotondeggianti. Sono piccoli cristalli di olivina, grandi al più qualche millimetro. Di per sé questo non è strano, la cosa particolare è che ciascuno di quei grani è circondato da un sottilissimo strato di materiale più scuro, nerastro. Defacto assomigliano a tante macchiette di leopardo, da cui il nome. Queste formazioni sono molto diffuse sulla Terra e sono generate associate a reazioni chimiche che trasformano l’ematite rossa in una sostanza più bianca, rilasciando nel processo composti di colore scuro (come i fosfati di ferro). La cosa ha fatto drizzare le antenne ai ricercatori perché sulla Terra queste reazioni sono una fonte di energia per alcuni microbi!

Infografica che mostra i sette gradi della scala di fiducia per la scoperta di vita extraterrestre
la scala CoLD elaborata dalla NASA

Si tratterebbe quindi una cosiddetta biofirma, cioè un qualcosa che tra le sue spiegazioni contempla la possibilità di un’origine biologica. Quanto forte, beh, dipende da tanti fattori. Ciò però era sufficiente a raggiungere il 1° grado nella “Scala di fiducia per la scoperta di vita extraterrestre” (Confidence of Life Detection scale, o CoLD). Come riportato nell’immagine, il 1° grado è solo il primo di almeno 7 livelli necessari prima di avere la certezza di aver trovato la vita extraterrestre. Tuttavia, era la prima volta che lo si raggiungeva per qualcosa osservato su Marte. Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie, e quindi i ricercatori si sono messi all’opera. Un anno dopo, eccoci all’annuncio del 10 settembre!

Batteri marziani?

Non c’è miglior modo per descrivere quanto scoperto se non con le parole direttamente dall’abstract dell’articolo scientifico, che vi traduco:

In questo articolo riportiamo una dettagliata indagine geologica, petrografica e geochimica di queste rocce [ndt: la Cheyava Falls] e mostriamo che le argilliti [mudstones] ricche in carbonio organico della Bright Angel formation contengono noduli submillimetrici e fronti di reazione millimetrici ricchi di fosfati e solfuri di ferro (probabilmente vivianite e greigite). Il carbonio organico sembra aver partecipato a reazioni redox post-deposizionali che hanno prodotto questi minerali di ferro. Il contesto geologico e la petrografia indicano che queste reazioni avvennero a basse temperature.

In tale contesto, compiamo una rassegna dei vari percorsi tramite i quali reazioni redox che coinvolgono materia organica possono produrre la serie di minerali di ferro, fosforo e zolfo osservati, in ambienti sia di laboratorio che naturali sulla Terra. La nostra conclusione è che l’analisi a Terra utilizzando strumenti ad alta sensibilità del campione raccolto da questa unità permetterà di determinare l’origine dei minerali, composti organici e strutture in esso contenuti

In pratica: quella roba rossa piena di ematite è una roccia sedimentaria, praticamente fango depositato sul fondo del fiume. Abbiamo quindi presenza di acqua liquida. Al suo interno ci sono dei composti organici, cioè fatti dal carbonio legato a sé stesso o idrogeno. Il che non vuol dire che sia carbonio biologico, attenzione. I granuli contenuti nella matrice di ematite sono andati incontro a una reazione di ossidoriduzione (redox) che ha prodotto sulla superficie i fosfati e i solfuri di ferro osservati. Ciò sarebbe avvenuto in un ambiente freddo… e il carbonio ha compartecipato a tali reazioni redox!

Questo è esattamente quanto avviene sulla Terra quando alcune specie di batteri anaerobi, tipici delle acque antartiche (appunto fredde e prive di ossigeno), riducono composti del ferro come l’ematite per estrarre energia. Cioè, chemosintesi. Che è quello che gli organismi terrestri hanno fatto per quasi un miliardo di anni prima dell’evoluzione della fotosintesi, 3,4 miliardi di anni fa. Che guardacaso è proprio l’età delle rocce di Jezero. Inoltre un ambiente freddo e ricco di acqua coincide con quello che sappiamo del clima di Marte all’epoca della deposizione di questi sedimenti.

Il migliore indizio finora!

Si tratterebbe quindi del migliore indizio mai raccolto sulla presenza, possibile, di vita primordiale nelle gelide acque del Marte esperiano, proprio quando il pianeta iniziò lentamente il suo declino verso il deserto odierno. Il che NON vuol dire, come detto, che questa sia una prova della vita marziana, ma è comunque entusiasmante l’idea che possa esserlo. Siamo quindi saliti al 3° gradino della scala CoLD: sono state escluse contaminazioni ed è stato identificato un meccanismo biologico di produzione.

Ora bisognerebbe escludere altri meccanismi non biologici, ma ahinoi ciò sarà possibile solo con analisi di laboratorio qua sulla Terra. Proprio per questo Perseverance ha raccolto un campione presso Cheyava Falls, chiamato Sapphire Canyon, e lo ha predisposto per essere portato a Terra dalla missione Mars Sample Return. Il problema è che tale missione non se la sta passando benissimo (tra costi esorbitanti e tagli impietosi al budget) e questo mette a dura prova le speranze che la risposta arrivi presto.

Per ora, congratulazioni ai ricercatori per questo nuovo passo verso la risoluzione del più grande dei misteri: siamo davvero soli nel Cosmo?

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